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Il Blog di Gianluca Sgueo

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Postilla » Diritto » Il Blog di Gianluca Sgueo » Diritto pubblico e costituzionale » Società civile e sistemi democratici, nel paradigma della partecipazione

20 novembre 2009

Società civile e sistemi democratici, nel paradigma della partecipazione

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Il demos ateniese è scaltro: affida ai nobili le cariche politiche e il carico di responsabilità che ne deriva. Nelle assemblee pubbliche, poi, lascia che parlino le canaglie, anziché i migliori, e legittima un sistema in cui ciascuno pensa al proprio interesse, chiede favori personali ed è disposto a farne, per garantire il proprio tornaconto. Ma, tutto sommato, «Io al popolo la democrazia gliela perdono. É comprensibile che ciascuno voglia giovare a se stesso». Così parla A, un conservatore moderato favorevole alla democrazia, nella Aqhnaion politeia, un’opera scritta intorno al 430 prima di Cristo. Questa è, per A, la società civile: un soggetto politico a suo modo maturo e consapevole. Al suo interlocutore, B,convinto sostenitore del regime oligarchico, non resta che arrendersi: la democrazia, il governo dei molti, è debole solo nelle apparenze.

Un altro greco, Aristotele, definisce la società civile nella politeia. Essa è l’insieme degli individui in uno Stato. Vi convergono l’istinto politico, che distingue l’uomo da ogni altra specie vivente, e l’amicizia, che è, al tempo stesso, un bene e una necessità. I due sentimenti, insieme, garantiscono il benessere e la prosperità della collettività. In ordine, poi, alla migliore delle società, quella in cui il rapporto tra le due componenti risulti più equilibrato, Aristotele non ha dubbi: «A poca cosa si riducono le amicizie ed il giusto nelle tirannidi, mentre nelle democrazie la loro importanza è grande, giacché molte sono le cose comuni a coloro che sono uguali».

Nove secoli più tardi, tra il 1690 e il 1767, anno di pubblicazione, rispettivamente, del Second Treatise of Governmente della prima edizione di An Essay on the History of Civil Society, Jhon Locke e Adam Ferguson definiscono in modo simile il rapporto tra gli individui e la società civile. L’uomo, secondo Locke, non è stato creato per restare solo. Dio «put him under strong obligations of necessity, convenience, and inclination to drive him into society, as well as fitted him with understanding and language to continue and enjoy it». Così anche per Ferguson, secondo il quale l’essere umano è per sua natura membro della società. Questa persegue, nel suo complesso, il bene comune e garantisce «the happines of individuals». La visione Lockeana, invece, si discosta dal pensiero di Thomas Hobbes. Costui, pochi anni prima, nel 1651, aveva descritto il rapporto tra individui e società alla luce del principio di necessità, o sopravvivenza.

Il dibattito sul rapporto tra individuo, società e regimi politici conserva a lungo una posizione centrale nel pensiero storico e filosofico moderno e contemporaneo. Nel marzo del 1807 è pubblicata la Phänomenologie des Geistes, l’opera più importante di Georg Wilhelm Friedrich Hegel. Al suo interno, il filosofo di Stoccarda utilizza il termine bürgerlichper fare riferimento al complesso dei cittadini che compongono una nazione. La società civile è, per Hegel, una struttura intermedia tra la famiglia – il nucleo di base in cui nasce e si sviluppa la civiltà – e lo Stato. Il processo di industrializzazione, egli sostiene, ha prodotto effetti positivi ma, anche, la disgregazione dei nuclei familiari originari. La nascita di una nuova infrastruttura nella trama dei rapporti sociali – la bürgerliche Gesellschaft – ne è l’inevitabile conseguenza. Grazie ad essa, infatti, si possono conciliare due finalità apparentemente antitetiche: la cura degli interessi individuali e, al tempo stesso, il benessere della collettività. La struttura entro cui è possibile perseguire le due finalità, e le regole cui attenersi, sono quelle dello Stato.

Pochi anni più tardi, nel Manifest der Kommunistishen Partei del 1848, Karl Marx studia la nascita, l’evoluzione e i valori che appartengono alla petite bourgeoisie. Nella sua critica, il filosofo tedesco fa frequentemente riferimento alla concezione borghese di società civile. Anche Alexis-Charles-Henri Clérel de Tocquevilleipotizza l’esistenza di un legame diretto tra società civile e regime democraticotra il 1835, anno in cui è dato alle stampe il primo volume di De la démocratie en Amérique, e il 1856, data di pubblicazione dell’opera L’Ancien régime et la révolution. La medesima idea viene ripresa e sviluppata, nel 1963, da due politologi statunitensi: Gabriel Almond e Sidney Verba. In The Civic Culture i due sottolineano il ruolo essenziale che la società civile gioca all’interno di un sistema democratico.

Contemporaneamente, in parte anche grazie all’influenza esercitata dal pensiero filosofico, il linguaggio giuridico e politico fanno proprio il concetto di società civile, singolarmente e nel suo rapporto con i diversi regimi politici. La nozione di Membres de la société, in qualità di titolari di diritti naturali, si rinviene nella Déclaration des Droits de l’homme et du citoyen del 26 agosto 1789. Pochi anni più tardi, nel 1812, la Constituciòn polìtica de la Monarquìa Espanolamenziona il termine Nacion, e si rivolge a todos los individuos que la componen, oltre ai Los Espanoles in generale. Più recentemente, la Grundgesetz tedesca del 1949 dedica alla “popolazione civile” gli articoli settantatre, settantaquattro e ottanta. Nella Costituzione italiana, invece, si menziona il termine “società” negli articoli quattro e ventinove. Nel primo caso, il riferimento va al diritto e dovere di ogni individuo di lavorare. Nel secondo caso, invece, alla famiglia. Sempre nel 1949, la Cour International de Justicericonosce per la prima volta personalità giuridica internazionale ad entità rappresentative di interessi diverse dagli Stati nazionali, relativamente alla Réparation des dommages subis au service des Nations Unies.

A livello sovranazionale, poi, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950, La Dichiarazione di Vienna del 1993 che sancisce la conclusione della conferenza mondiale delle Nazioni Unite, La Convenzione Unesco sulla promozione e la protezione delle diversità delle espressioni culturali del 2005 (limitandosi ai documenti più importanti) contengono, tutte, riferimenti alle nozioni di società civile e democrazia.

Le varianti che distinguono il rapporto tra la società civile e i sistemi di governo – quelli democratici in particolare – sono, dunque, numerose. Esistono, però, dei denominatori comuni. Per cominciare, siamo in presenza di un rapporto simbiotico. La società civile ha ragione di esistere in quanto parte di un sistema politico organizzato. Ciascun sistema politico, a sua volta, nasce per garantire ai cittadini benessere, sicurezza e prosperità. Sicché, l’assenza di un demos ne rende l’esistenza sterile e fine a se stessa. Detta simbiosi tra società civile e sistemi politici, peraltro, non può essere vincolata entro i margini degli ordinamenti domestici. Il workflowdelle decisioni pubbliche è, oggi, il frutto dell’interazione tra sistemi complessi e integrati. La complessità deriva dal numero consistente di attori, istituzionali e non, che prende parte all’elaborazione delle decisioni. L’integrazione è, invece, il risultato di un lento, ma inarrestabile, processo di devoluzione di porzioni di sovranità dai governi alle istituzioni operanti a livello sovranazionale.

  1. Sicché, per un verso, la gran parte delle decisioni che assumono le amministrazioni pubbliche sono il risultato di un dialogo costante con altri poteri, sovraordinati rispetto a quelle. Lo spazio giuridico europeo ne è un esempio evidente, ma non è il solo. Esiste anche uno spazio giuridico “globale”, popolato da istituzioni e composto da regimi regolatori di diversa natura, che – singolarmente, o interagendo tra loro – influenzano l’andamento delle decisioni nei contesti domestic
  2. È allora evidente, per altro verso, che da queste interazioni la simbiosi tra società civile e sistemi politici risulta profondamente interessata. Cambiano i protagonisti, le regole e i meccanismi istituzionali. Lo sviluppo di un sistema politico – o, più precisamente, di un regime democratico – che si adegui alle esigenze dei cittadini che lo compongono diviene questione comprensibile solo adottando una visuale più ampia. Attenta, cioè, alle interazioni tra livelli giuridici diversi

Per tali ragioni, lo studio delle interazioni tra società civile e sistemi democratici, nel paradigma della partecipazione endo-procedimentale, attraverso due livelli giuridici: sovranazionale e domestico, costituisce un obiettivo ambizioso. Le relazioni tra la società civile e i sistemi democratici, infatti, pongono una serie di complesse questioni problematiche a chi le osserva. Queste riguardano, anzitutto, la titolarità del diritto a partecipare all’assunzione delle decisioni; interessano, poi, la morfologia dei rapporti tra sfera privata e pubblica (ovvero l’insieme di procedure e strutture destinate a garantire la partecipazione nei singoli ordinamenti); ma, soprattutto, fanno riferimento alle interazioni che si sviluppano tra la sfera giuridica sovranazionale e i regimi domestici.

  1. Con riferimento alla questione della titolarità a prendere parte all’assunzione delle decisioni, non sempre è chiaro a quale “insieme” di individui si rivolgono le norme che disciplinano la partecipazione ai procedimenti decisionali. Ad esempio, alcune istituzioni operanti nello spazio giuridico globale riconoscono alle parti interessate della società civile la titolarità del diritto ad intervenire in seno alle procedure decisionali di propria competenza. Di fatto, però, vengono consultati solamente i gruppi organizzati, in particolare le organizzazioni non governative. Un altro esempio è offerto da alcuni organi di mediazione operanti a livello sovranazionale. Questi applicano criteri diversi riguardo la legittimazione a presentare un reclamo. A seconda dei casi, i singoli portatori di interesse possono essere ammessi o, invece, esclusi. Le stesse definizioni di gruppo, o di gruppo organizzato, possono presentare differenze notevoli. Un sindacato, un’associazione di beneficienza, un partito politico, una fondazione culturale o religiosa possono incontrare, all’interno delle procedure consultive, ostacoli più o meno ampi, a seconda del ruolo che le norme e la prassi riconoscono loro. Nell’ordinamento comunitario, per esempio, sono state adottate definizioni diverse di società civile, che volta per volta hanno compreso (o escluso) soggetti diversi. Nonostante l’approccio liberale alla questione mostrato dal Legislatore comunitario, rimangono zone di incertezza. Lo dimostrano diversi casi giurisprudenziali. A differenza della sfera giuridica sovranazionale, negli ordinamenti domestici – salve alcune eccezioni ed entro alcuni limiti – alle procedure decisionali accedono tanto i privati cittadini portatori di interessi rilevanti quanto i gruppi organizzati. Ciò, tuttavia, non significa che l’accesso sia garantito indiscriminatamente a chiunque, in qualsiasi momento. Nella pratica, ad esempio, il fatto che le parti debbano sostenere dei costi in termini economici e di tempo fa sì che spesso siano le sole organizzazioni rappresentative degli interessi della società civile a disporre dei mezzi necessari per esercitare i diritti partecipativi.
  2. Nuovi e diversi problemi li pone l’osservazione della morfologia dei rapporti tra sfera giuridica privata e pubblica. Come per la legittimazione, i binari lungo i quali corrono le due sfere giuridiche, nazionale e sovranazionale, non sempre procedono parallelamente. Nell’arena sovranazionale manca una soluzione uniforme. Siamo in presenza, piuttosto, di soluzioni eterogenee che riflettono approcci talora completamente differenti tra loro. Le strutture deputate a garantire la consultazione e le procedure consultive sono, pertanto, molto diverse a seconda dell’istituzione che si esamina. In casi come quelli della World Bank, la quantità e la complessità delle strutture che svolgono funzioni legate alla consultazione è notevole. Altrettante le procedure di consultazione. Nella World Trade Organization, al contrario, strutture che intrattengono rapporti con la società civile sono quasi del tutto assenti. La gestione delle consultazioni, poi, viene delegata a livello domestico. Un terzo modello, quello proposto dalla Convenzione di Aarhus sulla partecipazione alle decisioni in materia ambientale, percorre un’altra strada. Traspone cioè le strutture e le procedure domestiche a quelle globali. I risultati, comunque, non sempre sono stati ottimali per le parti interessate.Negli ordinamenti domestici, fatte salve le differenze derivanti dal diverso retaggio culturale di appartenenza, ricorre un nucleo comune di principi e limiti. Ne discendono procedimenti e strutture che, se non uguali, spesso sono molto simili. Tale risultato, d’altronde, è favorito dall’impostazione che seguono la maggior parte degli ordinamenti democratici contemporanei. Un’impostazione basata sulla divisione tra poteri e finalizzata a rendere i cittadini partecipi (indirettamente) delle decisioni assunte dai vertici politici e (direttamente) delle pubbliche amministrazioni.
  3. Ultime – ma tra tutte le più importanti – vengono le interazioni tra la sfera giuridica sovranazionale e quelle domestiche. Qui i problemi si legano alle modalità concrete attraverso cui si sviluppa questo legame. Le ipotesi principali sono due. L’interazione tra sistemi regolatori sovranazionali e domestici può svilupparsi attraverso il “rinvio” che alcune istituzioni globali operano nei confronti degli ordinamenti domestici, delegando loro la gestione delle procedure consultive a favore dei portatori di interessi. Ciò, al fine di accrescere la propria accountability e sopperire alle lacune sulle garanzie endo-procedimentali nelle procedure di propria pertinenza. Queste forme di interazione postulano generalmente un rapporto di reciprocità tra l’istituzione sovranazionale e i poteri pubblici domestici. Vale a dire che il regolatore sovranazionale decentra presso i singoli ordinamenti la gestione concreta delle procedure (nel nostro caso, di quelle consultive) ma preserva in capo a sé la funzione di controllo degli esiti delle procedure e l’acquisizione degli stessi. Con queste, l’istituzione regolatrice globale si assume anche la responsabilità del buon funzionamento del sistema. Seguono questo modello la World Trade Organization e, limitatamente ad alcuni aspetti, l’ordinamento comunitario.La seconda forma di interazione tra livelli giuridici si concreta nella condivisione di pratiche e principi. Questi vengono elaborati a livello sovranazionale e, successivamente, diffusi nella sfera domestica. Contemporaneamente, opera il meccanismo inverso. Ovvero, il nucleo di principi e buone pratiche adottati negli ordinamenti domestici si trasmette alle istituzioni sovranazionali, che ne fanno uso per assimilare il proprio operato a quello dei governi nazionali e, come nel caso precedente, accrescere la propria legittimazione. Seguono questo schema sia le istituzioni globali dell’economia, come la World Bank o la International Finance Corporation, sia anche l’ordinamento comunitario.Va comunque tenuto presente che, nei fatti, questa distinzione tra forme di interazione differenti è meno evidente. Anzi, è frequente incontrare i due modelli che operano contemporaneamente. Né, del resto, una simile circostanza stupisce. È logico, infatti, che l’interazione prolungata tra ordinamenti giuridici comporti sia forme di decentramento delle funzioni, sia forme di condivisione di principi e standards. Le pratiche consultive, in particolare, sono interessate da questo genere di interazioni perché richiedono una gestione “prossima” agli interessi in gioco e tendono ad uniformare i principi generali che le riguardano.
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